Come si dice bugie in romano?

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Nel gergo romanesco, le calle sono le bugie.

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Dalle Calle ai Buscioni: Un Viaggio nel Linguaggio della Menzogna Romana

Roma, città eterna, custode di storia e di un dialetto vivace e colorito, dove le parole prendono forme inaspettate e significati che profumano di strada e di tradizioni popolari. E quando si tratta di mentire, anche qui, il romano sa come esprimersi con originalità e un pizzico di malizia.

L’informazione di base è questa: in romanesco, le bugie sono le “calle”. Ma questo è solo l’inizio di un affascinante viaggio nel linguaggio della menzogna capitolina. Perché fermarsi alla semplice traduzione quando si può esplorare il contesto, le sfumature e le alternative che arricchiscono questo aspetto così umano, a volte deprecabile, della comunicazione?

Le “calle”, quindi, sono bugie, menzogne. Immaginiamoci una situazione: “Nun te fidà de quello, te racconta un sacco de calle!” (Non ti fidare di quello, ti racconta un sacco di bugie!). L’immagine evocata è quella di un imbonitore che tesse una tela di falsità per convincerti a qualcosa. La parola “calle” suona quasi come una sassata verbale, un’accusa diretta e senza fronzoli.

Ma il romanesco non si limita a un solo termine. Ci sono alternative, modi di dire che sottolineano diverse sfaccettature dell’inganno. Ad esempio, si può parlare di “buscioni”. I “buscioni” sono, per così dire, delle “calle” di livello superiore, bugie più grosse, più elaborate, forse con conseguenze più pesanti. “Ma che me stai a raccontà, ‘na sfilza de buscioni?!” (Ma cosa mi stai raccontando, una sfilza di bugie grosse?). In questo caso, l’enfasi è sulla portata e sull’audacia della menzogna.

Un’altra espressione, più colorita e meno diretta, potrebbe essere “dare a bere”. “Ma nun je da’ a beve che c’ha vinto ar lotto, sennò poi te chiede i sordi!” (Non dirgli che ha vinto al lotto, altrimenti poi ti chiede i soldi!). Qui, l’immagine è quella di un inganno sottile, di una menzogna pensata per manipolare e trarre vantaggio.

E poi ci sono le “fregnacce”. Le “fregnacce” sono un tipo di bugia più piccola, spesso innocua, utilizzata per esagerare o abbellire la realtà. Potrebbero essere raccontate per vantarsi un po’, per rendere una storia più interessante o semplicemente per non offendere. “Dai, smettila de raccontà fregnacce, lo sappiamo tutti che nun c’hai mai visto a Tom Cruise!” (Dai, smettila di raccontare bugie, sappiamo tutti che non hai mai visto Tom Cruise!).

Infine, non dimentichiamo l’utilizzo di perifrasi e giri di parole per evitare di dire esplicitamente la parola “bugia”. Si potrebbe dire “nun sta a dì la verità”, “sta a inventà”, “sta a romanza’ la storia”. Queste espressioni, pur non essendo sinonimi diretti di “calle”, trasmettono comunque l’idea di una realtà distorta o omessa.

In conclusione, il linguaggio della menzogna romana è ricco e variegato, un microcosmo della cultura e della mentalità di una città che sa ridere e ironizzare anche sugli aspetti più discutibili della natura umana. Dalle “calle” ai “buscioni”, dalle “fregnacce” al “dare a bere”, ogni espressione dipinge un quadro vivido e autentico del mondo della menzogna, visto attraverso l’inconfondibile lente del romanesco. E se mai vi trovate a Roma e sentite qualcuno esclamare “Ma che calle stai a raccontà?!”, saprete esattamente di cosa si sta parlando: di bugie, di quelle raccontate con l’inimitabile verve capitolina.