Come si dice cocomero in calabrese?

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In Calabria il cocomero è chiamato zio pàrrucu, per la sua colorazione rossastra, paragonata al volto di un parroco. A Napoli, invece, si usa melone dacqua o melone da pane.

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Zio Pàrrucu: Il Cocomero Calabrese e la Sua Curiosa Etimologia

L’estate calabrese, con il suo sole cocente e le giornate lunghe, ha un sapore inconfondibile: quello del cocomero fresco. Ma in Calabria, questa delizia estiva non è semplicemente un “cocomero”. Assume un’identità più pittoresca e localizzata, trasformandosi in “zio pàrrucu”. Un appellativo curioso che, a differenza della più generica denominazione italiana, racchiude in sé una storia e una tradizione tutta calabrese.

L’origine di questo nome singolare risiede, secondo la tradizione popolare, nell’accostamento cromatico tra la polpa rossa del cocomero e il colorito rubicondo, spesso associato – soprattutto in passato – al volto di un parroco. L’immagine di un prete, magari dopo un lauto pranzo o sotto il sole estivo, con le guance arrossate, richiama alla mente la vivida tonalità dell’interno del frutto. Da qui, con un pizzico di ironia e di affetto tipico della cultura calabrese, nasce l’appellativo “zio pàrrucu”, un termine che fonde familiarità e rispetto, quasi a personificare questo dono rinfrescante dell’estate.

È interessante notare come questo nome dialettale non si limiti a identificare il frutto, ma contribuisca a creare un legame più profondo con il territorio e la sua cultura. Rappresenta un tratto distintivo, un elemento che differenzia la Calabria dalle altre regioni, anche vicine. Basti pensare a Napoli, dove il cocomero è conosciuto come “melone d’acqua” o “melone da pane”, denominazioni che, pur nella loro semplicità, rivelano un approccio diverso, legato più alle caratteristiche fisiche del frutto che a un’immagine evocativa.

“Zio pàrrucu”, quindi, non è solo un modo diverso di chiamare il cocomero. È un piccolo frammento di cultura calabrese, un’espressione linguistica che porta con sé il calore del sole, la convivialità delle tavolate estive e l’ironia sottile di un popolo legato alle sue tradizioni. Un termine che, come il frutto stesso, rinfresca e delizia, aggiungendo un tocco di colore al panorama linguistico italiano. E la prossima volta che gusterete una fetta di cocomero, ricordatevi di “zio pàrrucu”, perché anche nel linguaggio, come nella natura, la diversità è un tesoro da preservare.