Perché si dice fegato amaro?

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Lespressione fegato amaro descrive una persona piena di rabbia repressa. Anticamente, si credeva che la bile, un liquido amaro prodotto dal fegato, si riversasse nel sangue durante gli scatti dira, causando questo senso di amarezza interiore. La locuzione riflette quindi lidea di unemozione intensa trattenuta.

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L’amaro segreto del fegato: un viaggio tra rabbia repressa e antiche credenze

“Che fegato amaro!” esclamiamo di fronte a qualcuno che sembra covare un’ira inespressa, un risentimento trattenuto a fatica. Ma perché associamo proprio quest’organo, il fegato, all’amarezza e alla rabbia repressa? La risposta affonda le sue radici nelle antiche teorie mediche e nella sapienza popolare, che intrecciavano fisiologia ed emozioni in un’unica, affascinante narrazione.

Per secoli, la medicina umorale ha dominato la scena, interpretando la salute e la malattia come un delicato equilibrio tra quattro umori: sangue, flegma, bile gialla e bile nera. A ciascun umore corrispondeva un temperamento e una serie di caratteristiche emotive. La bile gialla, o cholè, prodotta dal fegato, era associata all’ira e all’aggressività. Si credeva che un eccesso di bile gialla, riversandosi nel sangue, provocasse non solo disturbi fisici, ma anche un’alterazione dell’umore, rendendo l’individuo irascibile e collerico.

L’idea del “fegato amaro” nasce proprio da questa antica concezione. L’amarezza, sapore caratteristico della bile, diventava la metafora di un’emozione intensa, la rabbia, che, non trovando sfogo, ristagnava all’interno, come la bile intrappolata nel fegato. L’amarezza percepita non era quindi solo un sintomo fisico, ma la manifestazione tangibile di un disagio emotivo profondo.

Con il progredire della medicina, la teoria umorale è stata superata, ma l’espressione “fegato amaro” è sopravvissuta, trasformandosi in un’efficace metafora del malessere interiore. Oggi, sappiamo che il fegato non è direttamente responsabile della rabbia, ma la locuzione continua a evocare con forza l’immagine di un’emozione repressa, di un’amarezza che rode dall’interno.

L’eredità di questa antica credenza ci ricorda l’importanza di esprimere le proprie emozioni, di non lasciare che la rabbia, come la bile immaginata dagli antichi, ristagni e avveleni il nostro equilibrio interiore. “Fegato amaro” diventa così un monito, un invito a liberarsi dal peso dell’inespresso, a cercare vie sane per gestire la rabbia e ritrovare la serenità. Un’eredità linguistica che, pur superata scientificamente, conserva intatta la sua potenza evocativa e la sua saggezza popolare.