Perché un cadavere galleggia?

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La galleggiabilità di un cadavere dipende dal principio di Archimede: la spinta verso lalto è equivalente al peso dellacqua spostata. A polmoni pieni, il corpo umano è meno denso dellacqua, quindi galleggia; in altre condizioni, la densità potrebbe variare.

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Il Silenzio Acquatico: Perché un Cadavere Galleggia?

La morte, per sua natura silenziosa e definitiva, cela spesso misteri che la scienza si impegna a svelare. Uno di questi, apparentemente banale ma intriso di significati investigativi, riguarda la galleggiabilità di un cadavere. Non si tratta di una semplice curiosità, ma di un elemento cruciale nelle indagini medico-legali, in grado di fornire preziose indicazioni sul tempo trascorso dalla morte e sulle circostanze in cui essa si è verificata.

La risposta, apparentemente semplice, risiede nel principio di Archimede: un corpo immerso in un fluido riceve una spinta verticale dal basso verso l’alto, equivalente al peso del volume di fluido spostato. Se questa spinta è maggiore del peso del corpo, esso galleggia; se è minore, affonda. Nel caso del corpo umano, la densità gioca un ruolo fondamentale. Un individuo vivo, con i polmoni pieni d’aria, presenta una densità inferiore a quella dell’acqua dolce e, pertanto, tende a galleggiare, sebbene con una certa difficoltà a seconda della corporatura e della quantità di tessuto adiposo.

La situazione cambia radicalmente dopo la morte. La decomposizione, un processo complesso e progressivo, altera la densità corporea, influenzando in modo significativo la galleggiabilità. Nei primi stadi, la presenza di gas di putrefazione, prodotti dalla fermentazione batterica delle sostanze organiche, soprattutto a livello addominale, aumenta il volume del corpo senza modificarne significativamente il peso. Questo incremento di volume, a parità di peso, riduce la densità complessiva, favorendo il galleggiamento. I gas, principalmente metano, idrogeno solforato e anidride carbonica, si accumulano all’interno delle cavità corporee, agendo come vere e proprie “sacche d’aria” che superano la spinta idrostatica.

Tuttavia, la tempistica del galleggiamento è tutt’altro che uniforme. Diversi fattori, tra cui la temperatura dell’acqua, la profondità dell’immersione, la presenza di corrente e la composizione del corpo (massa muscolare, tessuto adiposo, presenza di indumenti), influenzano il processo. Ad esempio, acque più fredde rallentano la decomposizione e, di conseguenza, ritardano il galleggiamento. Allo stesso modo, un corpo obeso tenderà a galleggiare prima di un corpo magro a causa della maggiore componente adiposa.

Dopo la fase iniziale, la decomposizione prosegue con la distruzione dei tessuti e la dispersione dei gas. In questa fase, la densità del corpo aumenta nuovamente, potendo portare a un successivo affondamento, in un ciclo che si ripete fino alla completa decomposizione dello scheletro. La comprensione di questa complessa dinamica è fondamentale per gli investigatori, che possono stimare il tempo trascorso dalla morte in base al momento del ritrovamento del corpo e al suo stato di galleggiamento, integrando queste informazioni con altre evidenze raccolte sulla scena del ritrovamento. Il silenzio acquatico, dunque, custodisce segreti che la scienza, con la sua meticolosa analisi, è in grado di svelare.