Quali lauree sono inutili?

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Studi umanistici come Comunicazione, Media e Pubblicità, con curricula incentrati su linguaggi mediali, giornalismo, pubblicità e marketing, sono spesso citati tra le lauree con minore sbocco occupazionale immediato, malgrado la loro potenziale applicabilità in settori diversificati.

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La “Inutilità” di una Laurea: Un Dibattito Complesso Oltre le Statistiche

La domanda su quali lauree siano “inutili” è tanto ricorrente quanto fuorviante. Ridurre anni di studio e dedizione a una semplice equazione costi-benefici in termini di immediato accesso al mondo del lavoro è un’operazione superficiale che ignora la complessità del panorama educativo e professionale. Certo, le statistiche sull’occupazione post-laurea esistono, e possono fornire un’istantanea del mercato del lavoro. Ma definire una laurea “inutile” basandosi esclusivamente su queste cifre significa trascurare il valore intrinseco dell’apprendimento, lo sviluppo di competenze trasferibili e l’evoluzione dinamica delle esigenze del mercato.

Spesso, nel mirino della critica finiscono le lauree umanistiche, etichettate come percorsi poco pratici e scarsamente remunerativi. Comunicazione, Media e Pubblicità, ad esempio, vengono regolarmente citate come esempi di lauree “a rischio”. I loro curricula, incentrati sull’analisi del linguaggio mediale, sulle tecniche del giornalismo, sulla strategia pubblicitaria e sulle dinamiche del marketing, sembrano, a prima vista, distanti dalle competenze richieste dalle aziende. In realtà, questa percezione è figlia di una visione miope.

È vero, l’ingresso nel mondo del lavoro per un laureato in Comunicazione potrebbe non essere immediato e diretto come per un ingegnere informatico o un medico. Ma questo non significa che la laurea sia “inutile”. Al contrario, fornisce una solida base di conoscenze e competenze cruciali in un’era dominata dall’informazione e dalla comunicazione digitale. La capacità di analizzare criticamente i media, di creare contenuti persuasivi, di comprendere le dinamiche del pubblico e di gestire la comunicazione di un brand sono competenze sempre più richieste in un ventaglio di settori in continua espansione.

Il problema spesso non risiede nella laurea in sé, ma nell’approccio allo studio e alla successiva ricerca di lavoro. Un laureato in Comunicazione che si limita ad acquisire una conoscenza teorica dei concetti, senza sviluppare competenze pratiche attraverso stage, progetti personali o attività extracurriculari, avrà sicuramente maggiori difficoltà a inserirsi nel mercato del lavoro. Allo stesso modo, una ricerca di lavoro passiva, limitata all’invio di curriculum vitae senza un’adeguata personalizzazione e senza un’efficace rete di contatti, riduce drasticamente le possibilità di successo.

Inoltre, il mercato del lavoro è in costante evoluzione. Professioni che oggi sembrano obsolete potrebbero tornare in auge in futuro, mentre nuove figure professionali emergono continuamente. Una laurea umanistica, proprio per la sua natura multidisciplinare e la sua enfasi sul pensiero critico e sull’adattabilità, può fornire gli strumenti necessari per affrontare questi cambiamenti e reinventarsi professionalmente.

In definitiva, la “utilità” di una laurea non si misura unicamente in termini di immediato ritorno economico. Si misura anche in termini di crescita personale, di sviluppo del pensiero critico, di acquisizione di competenze trasferibili e di capacità di adattamento a un mondo in continua trasformazione. Invece di etichettare alcune lauree come “inutili”, dovremmo concentrarci sull’aiutare gli studenti a scegliere un percorso di studi in linea con le proprie passioni e attitudini, fornendo loro gli strumenti necessari per trasformare le proprie conoscenze in competenze spendibili nel mondo del lavoro. Solo così potremo valorizzare appieno il potenziale di ogni percorso di studi e contribuire a creare una società più colta, innovativa e dinamica.